Capsella di Brivio

La storia

Il nome latino “capsella” indica genericamente una cassettina o un piccolo scrigno, di forma e materiale diversi.

La capsella di Brivio è una scatoletta di forma ellittica, realizzata in lamina d’argento sbalzato e rifinita a bulino, con alcune parti dorate.

Si tratta di un piccolo reliquiario formato da un corpo e un coperchio a cerniera.
È lunga 12 cm, alta 5,7 cm e larga 5,5 cm. L’originale è conservato al Museo del Louvre di Parigi come il maggiore esempio di simili reliquiari paleocristiani.

Il comune di Brivio è riuscito ad averne un esemplare unico perfetto in ogni particolare, appositamente realizzato dai laboratori del museo del Louvre.

La capsella di Brivio è arrivata a Parigi nel 1902, quando venne acquistata dalla collezione Brauer-Gibert.

La famiglia Gibert possedeva nel secolo XIX una grande filanda da seta situata entro i locali del castello di Brivio.

Nel 1888 il proprietario Adolfo Gibert rinvenne la capsella mentre praticava un condotto di scarico della nuova caldaia installata in quell’anno nel cortile della fabbrica.

La capsella era custodita dentro un’altra cassettina di marmo con un coperchio a coulisse, o scorrimento, nascosta in una cavità che si pensava di un altare ormai interrato della chiesa di S. Giovanni.

Considerata una pregevole opera del secolo XI, venne ammirata alla Esposizione Eucaristica di Milano del 1895 e all’Esposizione di Arte Sacra di Torino del 1898.

Attraverso la mediazione di un antiquario torinese passò fra le collezioni del Louvre. È stato possibile ammirarla in Italia solo nel 1990, in occasione della mostra Milano capitale dell’impero romano. 286-402 d.C.

Gli studi

Il primo studio risale al 1904: il sacerdote Giovanni Baserga descrisse la capsella di Brivio insieme con altre ritrovate nell’area brianzola, ipotizzando che l’opera fosse databile intorno al V-VI secolo.

Nel 1906 se ne occupò specificamente Plilippe Lauer, che confermò la datazione, e poi Henri Leclerq, per il quale poteva trattarsi di un lavoro della fine del secolo V. Pur con oscillazioni nella datazione e riferimenti a diverse aree culturali, la capsella fu considerata dunque da tutti gli studiosi, allora e in seguito, come ben precedente all’arte romanica del secolo XI.

Era divenuta perciò un oggetto di grande interesse, perché si trattava di uno dei primi reliquiari conosciuti del mondo paleocristiano, e per di più istoriato con scene bibliche. Per questo motivo fu segno di diversi studi, come quello di H. H. Arnason sugli argenti nord italici e gallici nel 1938, quello di Clara Bozzi del 1967 sulla capsella e la diffusione del Cristianesimo, lo studio di H. Buschhausen nel 1971 sui cofanetti romani e cristiani, fino al lavoro di analisi iconografica di Galit Noga-Banai pubblicato nel 2008 a Oxford.

Il disegno corsivo e popolare delle raffigurazioni, fresche e vivaci, ha fatto supporre che la capsella sia di produzione provinciale, senza escludere contatti con realtà anche lontane. Si è pensato a una corrente africana, diffusa nell’Adriatico fino a Grado, ma probabilmente anche verso la zona di Milano, che aveva intensi scambi con la costa africana e con l’area venetica. Altri studiosi hanno ipotizzato un’officina siriaca, oppure l’influenza di qualche modello orientale. Arnason ha prospettato una origine gallica-norditalica, anche per le scelte narrative simili di brani scultorei provenzali.

Le comparazioni conducono naturalmente anche ad oscillazioni di datazione: lo stile piuttosto rigido sembra rinviare alla scultura dell’età di Teodosio, come se si trattasse di una bottega nord italica periferica, che riprende modi anticheggianti. In tal caso la capsella risalirebbe alla prima metà del secolo V. Resterebbe però da scoprire come, in un momento successivo, sia stata collocata nella chiesa di Brivio.

Nell’ambito romano esistevano numerosi tipi di capsella, per riporvi qualche raro oggetto o per unguenti preziosi. Spesso la capsella era anche un dono nuziale, e in tal modo venne interpretata quella di Brivio quando venne esposta a Milano nel 1895. In epoca paleocristiana esistevano vari tipi di teche, soprattutto eucaristiche, usate per il ministero dei diaconi oppure appese sopra i cibori degli altari.

Al secolo IV risalgono vasi preziosi per le reliquie dei santi e dei martiri, costituite a volte solo da ceneri o piccoli pezzi di stoffa, come infatti si trovavano nella capsella di Brivio. Lo stesso S. Ambrogio fece realizzare una splendida capsella per il martire Nazaro. Non soltanto i primi gruppi cristiani ebbero simili cofanetti nelle loro chiese in posizione visibile, ma anche alti ecclesiastici e dignitari facevano produrre capselle personali, talvolta recuperando oggetti pagani.

È probabile che all’inizio i reliquiari venissero collocati sotto l’altare in piccole confessioni, richiamando la visione dei fedeli martirizzati evocata nell’Apocalisse; in seguito vennero inseriti entro altre cassette di marmo o stucco da deporre in un sacrario sigillato a consacrazione dell’altare, costume divenuto generale nel secolo IX.

L’assenza di riferimenti ai martiri lascia qualche dubbio sulla originaria destinazione d’uso della capsella di Brivio, ma in ogni caso sembra che sin dall’antichità sia stata considerata un reliquiario.

Il coperchio

La scena biblica riprodotta sul coperchio non ha un’interpretazione univoca. A un primo sguardo si può ravvisare l’episodio della resurrezione di Lazzaro: la posizione centrale della figura femminile, Marta o Maria, sembra esaltare la speranza della futura resurrezione, poiché Cristo dice a Marta di essere lui stesso la resurrezione. L’insolita distanza fra Cristo e Lazzaro, insieme con la centralità della figura femminile, ha fatto poi ipotizzare la fusione di due episodi, secondo una formula che si riscontra in sculture di sarcofagi gallici e romani. Secondo questa interpretazione si proporrebbero insieme la resurrezione di Lazzaro e il risanamento dell’emorroissa. Però, poiché secondo il racconto biblico l’emorroissa tocca Cristo, mentre la raffigurazione non mostra un contatto, bensì la donna protesa con le mani aperte, vi si potrebbe vedere anche il Noli me tangere.

Perciò sia la posizione centrale della figura femminile in colloquio con Cristo, sia la raffigurazione di Cristo con una lunga bacchetta tesa verso il sepolcro di Lazzaro, sia la frequente sovrapposizione fra Maria di Betania, Maria la peccatrice e Maria Maddalena, che scopre il sepolcro vuoto e incontra poi il Risorto, hanno recentemente fatto ipotizzare la fusione dell’episodio di Lazzaro e del Noli me tangere. Verrebbe così rafforzato, in una visuale apocalittica, il concetto più difficile e nodale del Cristianesimo, quello della Resurrezione stessa di Cristo

Le raffigurazioni

Sui lati lunghi della capsella sono raffigurati i Magi che presentano i doni a Gesù in grembo alla Vergine, e i Tre fanciulli ebrei gettati nella fornace da re Nabucodonosor per aver rifiutato di adorare gli idoli pagani. La composizione dei Magi, costruita su un asse orizzontale, ricorda analoghi reliquiari ravennati. Le vesti dei Magi sono raffigurate o a imitazione di quelle dei maghi orientali, o anche come distintivo dei “gentili”, ovvero dei pagani, personificati dai Magi. Ciò fa supporre che si tratti dell’Epifania. Anche i Tre fanciulli ebrei indossano costumi orientali, come i ragazzi che si inchinano all’imperatore nella colonna di Marco Aurelio. I Tre fanciulli sono posti nella fornace attizzata da un servente, e alzano le braccia come oranti, ma non appare il consueto angelo liberatore.

L’accostamento tra l’immagine dei Magi e dei Tre fanciulli ha probabilmente l’intento di associare l’Epifania di Cristo alla promessa di salvezza eterna: come i Magi hanno rifiutato la corte di Erode, i Tre fanciulli hanno rifiutato Nabucodonosor.

Sui lati brevi della capsella si possono invece vedere delle porte con torri in opus quadratum, tipico segno della città. Si ritiene che alludano a Gerusalemme e Betlemme, come accadeva in dipinti e mosaici del tempo: Betlemme, città natale di Cristo, diventa la nuova Gerusalemme.

Tour Virtuale

Risorse

Link

Museo del Louvre – la Capsella di Brivio (http://www.louvre.fr/en/oeuvre-notices/reliquary-casket)

Bibliografia
  • Galit Noga-Banai, The Trophies of the Martyrs. An Art Historical Study of Early Christian Silver Reliquaries,Oxford, Oxford University Press, 2008
  • Milano capitale dell’Impero Romano 286-402 D.C. – Catalogo della mostra a Palazzo reale – Milano 24 Gennaio-22 Aprile 1990
  • Danilo Mazzoleni – Natale con i primi cristiani – dossier la rivista “ARCHEO” – Dicembre 1985
  • Wealth of the Roman World, Londres, 1977, p. 93-94, n 157
  • H. Buschhausen, “Die Spätroemischen Metallscrinia und Frühchristlichen Reliquiare”, Wiener Byzantinisch Studien, 9, 1971, p. 240-242, n B 14, pl. 46-47
  • Clara Bozzi – La Capsella di Brivio e il suo contributo allo studio della primitiva chiesa plebana di Brivio – Contributi dell’Istituto di Archeologia, Volume Primo- Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano 1967
  • Lipinski, “Ori e argenti gioielli del mondo tardo-romano paleocristiano e paleobizantini in Italia fino0 al movimento iconoclasta”, Corsi Ravennate, 12, 1965, p. 405-452
  • Ph. Lauer, “La capsella de Brivio”, Monuments et mémoires. Fondation Piot, 13, 1906, p. 229-240

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